venerdì 26 agosto 2011

Senza meta.

La solitudine è condizione esistenziale individuale, la cui specificità antropologica è quella di essere storicamente determinata dall'epoca in cui si manifesta. In altri termini, il significato e la rilevanza emotiva della solitudine non resta costante nel corso del tempo, non è dato immutabile. In  quest'epoca di repentine mutazioni strutturali e di apparente trasparenza delle informazioni, essere soli si associa, sempre più spesso, ad una dimensione di brusco distacco dalla realtà, di solipsismi e vaneggiamenti inconsapevoli. E' quanto mi è dato riflettere sulla base tanto dell'esperienza personale, quanto dell'osservazione della scena quotidiana di uomini e cose che specchia azioni e comportamenti troppo spesso incongrui, paradossali e contradditori. Come se, nella rotta - individuale e collettiva - si fosse persa la memoria della meta.

Avarie della memoria.

Conservare per tramandare è sempre stato compito grave ed irto di ostacoli pratici. Non sempre  sono corrisposti risultati soddisfacenti a specifiche volontà, vuoi perchè i supporti di memorizzazione prescelti non garantirono durata nel tempo o per causa dell’incuria di chi fu destinato a riceverne il cambio di mano e, da ultimo, per l’insorgere di eventi imprevedibili od ingovernabili, come conflitti o calamità naturali. Tanto che, se ci guardiamo attorno, i panorami che la Storia tramanda sono in prevalenza composti da Rovine. Da quasi due secoli l’immagine meccanica conserva porzioni di mondo congelate in un istante ed a nessuno sfuggono i progressi compiuti dalle tecnologie di riproduzione fotografica del reale. Quanto abbiamo identificato come cambiamento di paradigma nel passaggio dal sistema analogico a quello digitale, mentre dilata enormemente le capacità di immagazzinamento nei processi di archiviazione numerica da un lato, dall’altro evidenzia evidenti criticità nella durata e nella vunerabilità dei materiali magnetici, nonchè sulla progressiva ed incessante obsolescenza degli standard tecnologici in materia di conservazione dei dati: in fatto di memoria esterna all’unità computazionale si è passati, nell’arco di poco più di un decennio, dal defunto “floppy-disk” al metallico “Blue-ray” di oggi, ma già in declino.  Da capacità irrilevanti a capacità strabilianti. Evidentemente,  la questione riguarda assai di più la qualità dei contenuti, piuttosto che la quantità dei dati trasportati. Tuttavia, senza la disponibilità di sempre più capienti archivi di memoria, non sarebbe stato possibile veicolare e trasmettere a distanza sequenze ininterrotte di “discorsi” a carattere multimediale. Il linguaggio prevalente per comunicare, specie tra gli appartenenti alle generazioni dei nativi digitali, è quello – ormai tendenzialmente anglofono  - del technologically correct dei manuali di istruzione e delle riviste di elettronica di consumo. Ma, se in questo scenario in cui tutto pare collocarsi secondo una prospettiva di euforico evoluzionismo, considerassimo invece l’estremo grado di vulnerabilità cui sono soggette reti, infrastrutture e veicoli di informazioni, allora ci renderemmo conto di quanto conti la memoria per guardare al futuro. Il grande occhio della memoria collettiva, stivata  entro precari contenitori di materia digitale , ogni giorno corre il rischio dell’imprevedibile “corto circuito”, che non sarebbe necessariamente frutto di azioni volontarie, ma vittima di casualità necessarie o negative coincidenze. Inutile ricordare come, dal baco del millennio a WikiLeaks, quanto si siano accorciate le distanze di sicurezza tra il controllo e la conoscenza degli apparati virtuali. La memoria, la memoria digitale, quella che occupa poco spazio e si conserva a lungo, ma non indefinitamente, è diventato un bene da difendere con ogni mezzo. Sarà su di essa che si potrà contare per immaginare cosa ci spetta, già solo domani. Ma come la globalizzazione economica ha reso interdipendente il mondo intero, così l’universalità del linguaggio dei new-media ha liquefatto i processi di conoscenza, promuovendo una modernizzazione sempre più tecnocratica e meno democratica. Qualunque tipo di perdita di memoria, entro questo quadro, sarebbe catastrofica.

domenica 21 agosto 2011

Famedio in cerca d'Autore.

Sarà l'effetto della dilagante epidemia digitale, ma una concentrazione così inconsueta ed appariscente di ottiche falliche non s'era mai vista prima d'ora aggirarsi entro le mura romane della Città della Fortuna. In piena stagione postferragostiana, peraltro. Che dipenda dalle vistose, chiassose e sguaiate manifestazioni estive promosse dall'Assessorato al Turismo? O non si tratti, invece, di un rendez-vous fotoamatoriale in stile flash-mob? Fatto sta che questa città, tanto umiliata nelle sue bellezze, pare diventato set prescelto da attivi protagonisti dello scatto, sotto forma di inconsapevole pratica erotica. Lo si evince dalla ricca ed aggiornata dotazione di strumenti ed accessori al seguito e dal clima da caccia grossa che costoro segnalano senza troppe incertezze. Dove stiano le prede, proprio non è dato saperlo. A meno che non si sia sparsa voce che l'incantevole Famedio di Piazza Amiani sia in cerca d'Autore. 

sabato 20 agosto 2011

Pet-terapy.

Potrà sembrare un brontolio, ma quando ci si guarda attorno e si scorgono regolarità od irregolarità nei comportamenti delle persone - quelle chi ci passano accanto, ogni giorno - più frequenti rispetto a tempi sebbene recenti, diventa difficile resistere alla tentazione di compierne l'osservazione e documentarne lo svolgimento. In prima persona e da una postazione che ambisce al ruolo della neutralità. La cosiddetta pet-terapy non è più appannaggio esclusivo di Corti Reali, ma riscuote consenso democratico in larga parte della popolazione che, a quanto pare, ne ricava benefici - vogliamo dirlo? - psicologici insostituibili. Le povere bestie, dolcemente inconsapevoli, annuiscono e scodinzolano provocando quella sensazione, oramai perduta tra umani, di gratuita corrispondenza ed affettuosa condivisione, anche di un comune cono al gianduja. Potrebbe questa apparire un'osservazione senza significato, se non l'accompagnassi dalla testimonianza - verificabile, come scienza richiede - di così numerosi casi di accoppiamenti alla moda. Mi riferisco a quelle strane e minuscole creature che stanno nel palmo di una mano e che ti pare si chiedano il perchè di così morbose attenzioni. Ebbene, passi che le si trasporti sul cestino della bicicletta, nella tasca di uno zaino o nel marsupio allacciato al collo, ma nel vano di un passeggino, proprio no. Eppure succede, magari a zonzo tra gli scaffali di una nota libreria (riminese). Per ora.