mercoledì 7 dicembre 2016

Il tempo della mia fotografia.

Oltre dieci anni di vagabondaggi con l'occhio di vetro appeso al collo li ho stipati nella memoria numerica di non so quanti supporti magnetici,nascosti qua e là nell'accampamento di cose della casa che non riesco ad abitare. Dopo che due di codesti aggeggi hanno smesso di funzionare, probabilmente a causa di qualche mia errata manovra alla tastiera, ho preso la decisione di sfogliare una ad una le pagine contenenti tutto quel vissuto percepito ed immagazzinato nella maniera più tecnologicamente avanzata. Ciò facendo, mi tornano alla mente luoghi, cose in gran parte scomparsi ed anche persone - quasi sempre homeless - incontrate durante quei pellegrinaggi. Il bello della fotografia è che tocca profondamente la sfera emotiva proprio in virtù dell'atto di verità che essa compie solo e soltanto in quell'istante di posa e che rimane impresso, nella forma corrispondente alla tecnica di registrazione meccanica adottata - analogica o digitale - su una materia esterna alla mente, considerata quest'ultima come materia a sua volta. Ebbene, questo processo, appena iniziato per l'ovvia necessità di dare ordine e senso a tanto tempo speso a curiosare il mondo a me accessibile, dovrà durare del tempo a causa dell'enorme mole di dati da rielaborare. Sarà inevitabile riscoprire ricordi sepolti e propositi mancati. Ne darò conto, prima di tutto a me stesso. Tanto per ricordare la storia: soltanto due secoli fa quest'operazione sarebbe stata impossibile.





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